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Sara, una pedagogista entusiasta!

Abbiamo voluto intervistare Sara Cofani, pedagogista di Ohana ed entusiasta della vista. Le abbiamo rivolto qualche domanda, per scaldare il freddo lockdown e per permettere agli utenti di Ohana di approfondire la sua conoscenza!

Sara, da pedagogista, quali diresti che sono i tuoi punti cardine teorici? Dewey? Don Milani? Altri?

A dire la verità, gli studi universitari mi hanno permesso di scoprire autori incredibili che, negli anni, hanno di fatto orientato la mia pratica educativa.

Ne cito solo alcuni: Rousseau, Don Lorenzo Milani, Paulo Freire, Maria Montessori.

L’esperienza è sovrana!

In effetti, dal punto di vista filosofico Dewey ha sempre esercitato su di me un certo fascino. È grazie a lui che ho deciso di liberarmi dal giogo della cultura strettamente accademica, frontale, standardizzata.

Preferisco un’educazione attiva, viva, coinvolgente, sensoriale.

Per poter imparare ho bisogno di vedere, ascoltare, toccare, gustare, odorare tutto ciò che arriva nella mia vita. In poche parole, l’esperienza per me è sovrana!

Il significato è nella relazione!

Lungo questo cammino, poi, ho scoperto Martin Buber, che ha dato sostanza al mio bisogno di tessere relazioni significative. “In principio vi è la relazione”: non è meraviglioso?

L’incontro con l’altro o con le cose è apertura alla vita!

Penso ad esempio alla musica: mentre la ascolto, la musica penetra in profondità e suscita in noi li desiderio di muoverci e danzare.

Ecco, nella relazione accade esattamente questo: se io incontro l’altro con tutta la mia intenzione, se desidero conoscerlo, genero apertura e quindi movimento. La filosofia della relazione estende, nell’ambito del mio bagaglio pedagogico, il concetto di intersoggettività.

Quando ti trovi di fronte ad un bambino o in generale ad un educando… qual è il tuo approccio? Come ti poni? Cosa vedi davanti a te?

Vedo una persona, un mondo nuovo che mi entusiasma e che desidero conoscere!

Nella mia vita viene convalidata sempre più spesso l’idea che i veri grandi siano loro: i bambini.

Il gioco, la creatività, lo stupore sono elementi guida nella mia pratica educativa. Penso sia davvero necessario che i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, siano protagonisti attivi del proprio apprendimento.

La relazione educativa consente a chiunque di godere di un tempo privilegiato in cui raccontarsi e raccontare quel che li circonda. Educando i ragazzi, continuo ad educare me stessa poiché ho il privilegio quotidiano di vivere un tempo buono, un tempo pieno che mi nutre.

Sento forte la responsabilità

Educare, diciamolo, impone un’enorme responsabilità, una responsabilità quotidiana. Abbiamo la responsabilità delle storie, dei ricordi e dei piccoli cambiamenti. E se ci penso e quasi un po’ piango, perché è una responsabilità importante ma allo stesso tempo bellissima.

È sempre tutto molto emozionante e allo stesso tempo faticoso.

Qui ad Ohana, è sempre tutto pieno di senso. Questo profondo impegno di cura è ciò che alimenta, giorno dopo giorno, il mio senso di appartenenza. Quella con Ohana è una storia che si dipana, per me, proprio come un gomitolo, attorno a due parole che mi stanno molto a cuore: gentilezza ed ascolto.

Vedi in Ohana dei margini di miglioramento? Se sì, quali?

Assolutamente sì! Insieme a Valentina Peri sono responsabile della Rete formale ed informale di Ohana.

Coltiviamo da anni la ricerca, l’attenzione, la passione per l’educazione e la relazione umana. Inutile dire quanto, in questo campo, sia fondamentale l’aggiornamento e l’autoformazione!

La Rete serve a questo! La Rete è quel luogo ampio, denso di tante realtà che operano in territori diversi. È composta da figure e professionisti spinti dal desiderio di rispondere ai bisogni, di affrontare i problemi, di accogliere, di individuare nuove possibilità.

Io credo che il miglioramento risieda nella capacità continua di guardare oltre la propria realtà, al fine di scovare nuovi orizzonti.

Coltivare nuove relazioni significa far nascere riflessioni condivise, che poi diventeranno opportunità per gli abitanti, piccoli e grandi, di questo nostro territorio.

Se avessi una bacchetta magica, cosa daresti al territorio su cui lavori?

La possibilità di poter dare più voce ai ragazzi.

La bellezza e il suo effetto “Boomerang”!

L’esperienza della Classe Boomerang, ad esempio, un progetto di educazione non formale che impiega la tecnica della scrittura creativa, mi ha fatto di avvicinare alle storie di questi ragazzi, allargando lo sguardo. Vorrei dire a questo territorio che la vera ricchezza sta nei nostri giovani. Sono i ragazzi che sanno battersi ed indignarsi affinché ognuno possa vivere una vita all’altezza dei propri sogni.

Gli adolescenti sono quelli che non penserebbero mai che il proprio mondo finisca poco dopo la propria porta di casa. Gli adolescenti desiderano imparare più lingue possibili, così da avere più parole nel proprio vocabolario e più codici per raggiungere tanti. Sono loro che desiderano, sperano e cercano di capire il mondo, un pezzetto alla volta, anche per noi adulti. Creando, immaginando e celebrando la vita…nonostante tutto!

Come sta cambiando la consapevolezza psico-pedagogica ed educativa in generale in questo anno di pandemia?

In questo lungo anno ho pensato moltissimo ai miei colleghi e a tutti questi professionisti dell’Educazione che hanno cercato, in ogni modo e con qualsiasi mezzo, di compensare la distanza a cui siamo stati sottoposti. Ho pensato tanto ai bambini, ai ragazzi. Privati di ciò che, nonostante le lamentele, rappresenta la vita piena e ciò che li rende vivi: la scuola. La pandemia ha generato dei cambiamenti importanti, ma vorrei poter dire che non tutto va dimenticato o cancellato.

È tempo di essere creativi!

Gli educatori, i maestri, i professori hanno fatto il possibile per trasformare questa crisi in un’opportunità. Ecco, la pandemia ci ha resi più creativi. Abbiamo toccato, capito, odiato, amato la dimensione domestica. Questo ha rivoluzionato il concetto di spazio. Uno spazio solo mio che poi, passando di casa in casa, è diventato nostro. Il “nostro insieme” che, stavolta, è più rispettoso di quello che sono e di quello che sei. Questa nuova sfida è stata per tutti occasione di crescita. Riflettiamoci insieme!

teoria della ghianda

La teoria della ghianda

Sotto questo bizzarro titolo, di «teoria della ghianda», si può trovare un’idea, per certi versi mitica e rivoluzionaria.

Ce ne parla James Hillman

Psicoanalista e saggista degli USA, Hillman (scomparso nel recente 2011) ha consegnato alle pagine del suo libro Il codice dell’anima la teoria in questione.

Di che si tratta?

La teoria della ghianda presuppone che ciascun individuo abbia, fin dalla nascita (e forse persino da prima!) una vocazione, un talento innato, un’abilità che gli viene “naturale“, “facile“, per innatismo.

La metafora “realistica”

Hillman paragona questa vocazione all’energia vitale insita nella ghianda. Ogni ghianda contiene in sé la futura quercia, così come a sua volta la quercia è in grado di generare nuove ghiande, in un circolo bellissimo e vitale.

Perché una ghianda non può generare un abete?

Se rivolgessimo questa domanda ad un agrotecnico, saremmo fortunati se questi avrà la buona creanza di non riderci in faccia.

Tutti, infatti, accettano immediatamente l’idea che una ghianda non possa e non potrà mai generare né un melo, né un ciliegio, né un abete.

Eppure le cose non sembrano essere così chiare su un livello più “pedagogico”.

Nel campo della pedagogia

Nel dominio dell’educazione, nel campo della pedagogia, solo i professionisti più illuminati sanno fare un parallelo tra la teoria della ghianda e l’educazione in età infantile o evolutiva.

Quante volte imponiamo un “dover essere” al bambino, alla bambina… che hanno invece il loro stile, le loro predilezioni?

Cosa ci insegna Hillman

Hilmann ci ricorda, in questo senso, che durante l’infanzia tendono ad emergere tratti innati della personalità (è la ghianda che manifesta il suo voler essere quercia e non frassino, non pruno, né melo).

Un buon educatore, un bravo pedagogo dovrà quindi riconoscere nelle impuntature, nel capriccio, nelle ostinazioni del bambino, in quell’orgoglio pronunciato e forte… il profilo dell’uomo e della donna futuri, così che la quercia cresca sana, vigorosa e fruttuosa.

Imparare… in teoria

L’apprendimento costituisce l’oggetto di una vasta letteratura specifica. Inutile dirlo, ci sono molte teorie e diversi indirizzi. Eppure, possiamo dire che tutte le teorie finora proposte appartengono a una delle due grandi categorie esistenti.

Per alcuni studiosi, l’apprendimento è un processo graduale, per lo più continuo. Il loro slogan sarebbe:

Si impara per prove ed errori

Ci sono poi altri teorici che guardano all’apprendimento come ad un processo che ha inizio con una vera e propria intuizione. A questa intuizione fa seguito una rottura della visione del mondo precedente, poi una geniale ristrutturazione degli schemi mentali. Questi teorici parlerebbero di

una ristrutturazione del precedente assetto cognitivo

È utile integrare queste due prospettive, nel nostro caso, sapendo che i tentativi sono alla base dell’apprendimento esperienziale. La mente, poi, rielaborando i dati dell’esperienza, può costruire nuovi modelli, e immaginare, con l’intuizione, cose che prima non riteneva possibili.

Esperire per imparare

Cos’è l’apprendimento?

Apprendere, o imparare, non è altro che la capacità di vivere delle esperienze con una sufficiente intensità da produrre un cambiamento permanente nella persona che vive, conosce e comprende. In base a questa definizione, è facile capire che non può esistere alcun apprendimento al di fuori dello spazio esperienziale.

L’esperienza è maestra di vita

afferma un antico proverbio latino. Tutto ciò è verissimo. L’apprendimento, infatti, dipende strettamente dall’esperienza e può essere sia consapevole che inconsapevole. Perciò: non esiste alcuna persona al mondo che possa vivere senza imparare. Diceva bene Aristotele:

Tutti gli uomini hanno un innato desiderio di sapere.

Se la vita, l’esperienza e l’apprendimento finiscono per coincidere, è ormai chiaro che per imparare velocemente e proficuamente bisogna aprirsi alla socialità, all’ascolto, alla relazione: lo spazio preferenziale per sperimentare chi siamo e in che modo vogliamo cambiare.