La Dott.ssa Di Marzio lavora per Ohana come psicoterapeuta. Tra i principali autori posti a fondamento del suo modo di operare c’è il nome di Bowlby.
Negli anni ’50 del Novecento, uno psichiatra inglese di nome John Bowlby fu attento agli effetti dell’inadeguatezza delle cure materne sullo sviluppo dell’individuo.
Bowlby fu volontario in una scuola per ragazzi disadattati. Si trattava di giovani ladruncoli che facevano atti di delinquenza. Egli mise in relazione le loro difficoltà con le esperienze infantili, trovò il primo collegamento tra deprivazione delle cure materne in età infantile e l’incapacità di creare legami affettivi.
Dalle carenze in fatto di cure materne provenivano: la mancanza di emozioni, l’indifferenza per gli altri e per gli effetti delle loro azioni.
Per lo psichiatra fu chiaro che l’assenza di un maternage adeguato avesse portato a questi particolari esiti.
L’importanza di una figura protettiva e amorevole
Grazie allo studio delle teorie di Darwin e agli esperimenti degli etologi, Bowlby giunse ad una importante conclusione. Nei neonati è possibile riscontrare una spinta automatica ad individuare una figura specifica, per lo più materna, che si faccia carico di proteggerli dai pericoli.
Questa stessa spinta li porta a formare con la figura di riferimento un legame, detto legame di attaccamento, e a cercare di mantenere il contatto più a lungo possibile.
Tale legame può essere definito come «quel rapporto che si instaura tra un individuo più debole e un altro percepito come più forte e/o più saggio» dal quale ci si aspetta protezione, calore e conforto.
Il terapeuta non è un “meccanico”, afferma Ilaria Di Marzio, che ripara un guasto o sostituisce un pezzo, ma un professionista che riconduce il disagio esistente al complesso sistema affettivo e ambientale, proponendo così punti di vista nuovi e soluzioni da esplorare.
Il bambino si costruisce un modello interno di se stesso in base a come ci si è preso cura di lui.
Genitori: istruzioni per l’uso (?)
Non esiste il manuale del buon genitore, ogni genitore prova sempre a fare del suo meglio seguendo l’amore che prova per il figlio. Quest’ultimo, a sua volta, sulla base delle prime esperienze relazionali e affettive costruirà delle rappresentazioni mentali di sé stesso e degli altri.
In particolare, le aspettative sulle reazioni del proprio caregiver confluiranno in un’immagine interiore, un modello della figura di attaccamento e, per generalizzazione, in un modello degli altri.
Per tali ragioni credo che nessuno abbia “un pezzo guasto” da riparare. In ognuno di noi c’è una storia che necessita di essere accolta, ascoltata e compresa.
Siamo come i diamanti: abbiamo un abito cristallino!
Noi come i diamanti, costituiti da un reticolo cristallino di atomi di carbonio, disposti secondo una precisa struttura, abbiamo dentro di noi delle linee invisibili, derivanti dalla rete di legami costruita già a partire dalla gravidanza, che delineano il nostro profilo geometrico.
Cadendo, il diamante si romperà seguendo proprio quella struttura, allo stesso modo l’individuo “cadrà” e si frammenterà seguendo la sua rete di legami.
La terapia è una costruzione condivisa
Per me, la terapia è condivisione, è co-costruzione, è un po’ come tendere la mano all’altro e percorrere insieme le “strade buie” della vita, trovando quel filo rosso che le tiene insieme.
Nel mio lavoro intendo offrire al paziente un’esperienza relazionale diversa. Un buon terapeuta è colui che sa vedere il mondo con gli occhi del proprio paziente.
Come terapeuta mi piace ricordare ai lettori di Ohana ciò che, come una preghiera, mi ripeto quotidianamente: «nella testa e nel cuore, sia ogni psicopatologia un dono d’amore»