La Dott.ssa Emanuela Quagliozzi è una figura clinica di Ohana. Come psicologa e psicoterapeuta si occupa di bambini e adolescenti. Marta Mariani l’ha intervistata perché le famiglie di Ohana la conoscessero meglio. Ecco le sue parole!
Emanuela, in qualità di psicologa e psicoterapeuta ti occupi principalmente di adolescenti e bambini, in che cosa consiste il tuo aiuto?
Il mio lavoro consiste nell’aiutarli a conoscersi e nell’aumentare il loro livello di consapevolezza di sé. A volte per riuscire a produrre una trasformazione, un cambiamento, o per superare momenti di difficoltà, questo tipo di lavoro è indispensabile.
Promuovere l’autoconsapevolezza emotiva significa sviluppare una maggiore e più cosciente conoscenza dei propri stati d’animo e dei propri pensieri nel momento in cui si presentano.
In questo modo si può riuscire a monitorarli ed a reagire nella maniera più adeguata. Parallelamente lavoro anche sull’incremento di abilità sociali, comunicative e motivazionali. Queste abilità, insieme alla storia personale di ciascun utente, permettono la creazione dell’immagine che il bambino o il ragazzo ha di sé e della propria autostima.
I bambini e gli adolescenti sono lo specchio delle famiglie
Per me è fondamentale lavorare non solo con i bambini e con gli adolescenti ma anche con tutta la rete di relazioni in cui questi vivono. Talvolta, infatti, per produrre un cambiamento, soprattutto nei bambini più piccoli, è necessario effettuare un lavoro volto quasi esclusivamente sui genitori, attraverso degli incontri di Parent Training. In queste occasioni, io e la mia squadra di figure cliniche forniamo un valido supporto alle strategie cognitive e comportamentali delle figure genitoriali. È il nostro metodo per intervenire sul contesto del ragazzo. Questo tipo di lavoro funziona e produce cambiamenti anche nel bambino.
Nel nostro primo colloquio hai parlato di un grande “mostro nero” che adolescenti e preadolescenti intendono superare con il tuo supporto: l’ansia. Cos’è l’ansia? Come si manifesta? Come ci si lavora?
Non la chiamerei “mostro nero”. In realtà l’ansia è solo un’emozione e, come tutte le altre emozioni che proviamo, ha un’importante funzione nella nostra vita. Le emozioni infatti hanno una funzione adattiva e si sono evolute insieme all’uomo fornendo un importante contributo alla sua rapida evoluzione.
Cos’è l’ansia?
In generale, questa emozione indica un complesso di reazioni emotive, cognitive, comportamentali e fisiologiche che si manifestano in seguito ad uno stimolo che avvia aspettative negative. L’ansia aumenta quando la persona valuta il pericolo come imminente e grave, mentre diminuisce quando il soggetto sente di poter gestire la situazione.
Quando ci troviamo davanti ad un pericolo, siamo “programmati” geneticamente a reagire con una risposta comportamentale che ha dei correlati fisiologici.
La sudorazione aumenta, così come il battito cardiaco. Possiamo tremare, avvertire una certa tensione muscolare, avere le vertigini, respirare a fatica. In realtà, queste risposte sono strettamente funzionali e ci servono ad affrontare la minaccia (l’elemento che ci “attacca”), reagendo con l’allontanamento (“fuga”). Se l’ansia rimane compresa entro un certo range di limiti, è accettabile e sana. Essa svolge una funzione, appunto, adattiva.
Quando l’ansia si innesca in situazioni non così pericolose…
Al contrario, quando l’ansia si innesca anche in altri contesti, in cui la nostra incolumità fisica non è affatto messa a repentaglio, questo meccanismo fisiologico va indagato e osservato più da vicino. Spesso, infatti, le reazioni d’ansia non si scatenano soltanto davanti ad una situazione minacciosa, ma anche in tantissime situazioni ordinarie, come un esame, un’interrogazione, una prestazione scolastica, sportiva o lavorativa. Così, la reazione d’ansia diventa disfunzionale, cioè patologica, perché il livello d’intensità raggiunto dall’individuo non è proporzionato all’entità della situazione.
Il lavoro in psicoterapia consiste appunto nell’imparare a riconoscere a livello emotivo e cognitivo cosa avviene nelle situazioni temute.
Capire quello che succede e riconoscerlo rappresenta il primo passo. Successivamente, attraverso tecniche cognitive, comportamentali e di rilassamento, si lavora per trovare strategie adeguate che permettano di riuscire ad affrontare tali situazioni, attraverso una corretta gestione dell’emozione.
Dal tuo punto di vista clinico e professionale, perché la terapia psicologica è importante?
È vero che tutti noi ci conosciamo e abbiamo una buona consapevolezza di noi stessi, ma può capitare che ci manchi una conoscenza emotiva dei nostri desideri più profondi e soprattutto delle nostre scelte. Questo riguarda spesso bambini ed adolescenti che sono in fase di crescita e di scoperta di se stessi. A volte, la mancata conoscenza di sé può produrre delle difficoltà personali e relazionali, o momenti di sofferenza emotiva.
Iniziare una psicoterapia è una scelta orientata alla salute che permette di conoscersi meglio, individuare e rafforzare le proprie risorse, affrontare in modo più opportuno i momenti di difficoltà, di tensione.
Il cambiamento è possibile attraverso la creazione di una relazione improntata sulla fiducia, sull’ascolto, sulla sospensione del giudizio e sull’impegno reciproco. In questa preziosa relazione, il paziente e il terapeuta collaborano per raggiungere insieme degli obiettivi condivisi.
Ricordi il caso di qualche ragazzo o di qualche ragazza che, grazie alla terapia, ha potuto trasformare in meglio la sua qualità di vita? Ti va di parlarcene?
Ho lavorato ad esempio con una ragazza che aveva difficoltà all’interno dell’ambiente scolastico e queste difficoltà l’avevano portata a chiudersi in sé. Viveva dei rapporti difficili con i pari e frequentava poco la scuola. Abbiamo lavorato molto insieme. Cercavamo di capire quali emozioni e quali pensieri si innescavano nelle situazioni temute. Modificavamo, così, con gradualità, i comportamenti di evitamento, o comunque quelle reazioni poco funzionali al raggiungimento dei propri obiettivi. Abbiamo quindi ottenuto che la ragazza si rafforzasse e fronteggiasse tali situazioni. Parallelamente, ho fornito supporto e strategie anche alla coppia genitoriale che si mostrava molto preoccupata della situazione, lavorando quindi anche sulle relazioni tra i membri della famiglia.
Cosa diresti ai tanti genitori scettici che disapprovano l’idea di mandare i loro figli da un buon terapeuta?
Decidere di chiedere aiuto, per se stessi o per i propri figli, non è mai, per nessuno, una scelta facile. Spesso ci si sente deboli, arrabbiati, in colpa o privi di risorse personali. In realtà, se sentiamo di non farcela da soli, chiedere aiuto è un atto di forza, un modo concreto per risolvere una problematica, affrontare una situazione o un momento di difficoltà.
Potrebbe essere presente ancora un pregiudizio che considera la persona che soffre a livello psicologico come inadeguata.
A dire la verità, lo scopo principale della psicologia è la promozione del benessere e del cambiamento.
Per quanto concerne la parte pratica, il primo colloquio avviene con i genitori, o con chi si prende cura del bambino, o del ragazzo. Richiedendo l’autorizzazione di entrambi, valutiamo le motivazioni per le quali è stato contattato il professionista. Consideriamo poi se vi sia la reale necessità di un percorso di psicoterapia. Si decide insieme, infine, se intraprendere un percorso o meno. In ultimo, si chiariscono le modalità di accesso al servizio: forniamo cioè tutte le informazioni del lavoro con il minore.