Sotto questo bizzarro titolo, di «teoria della ghianda», si può trovare un’idea, per certi versi mitica e rivoluzionaria.
Ce ne parla James Hillman
Psicoanalista e saggista degli USA, Hillman (scomparso nel recente 2011) ha consegnato alle pagine del suo libro Il codice dell’anima la teoria in questione.
Di che si tratta?
La teoria della ghianda presuppone che ciascun individuo abbia, fin dalla nascita (e forse persino da prima!) una vocazione, un talento innato, un’abilità che gli viene “naturale“, “facile“, per innatismo.
La metafora “realistica”
Hillman paragona questa vocazione all’energia vitale insita nella ghianda. Ogni ghianda contiene in sé la futura quercia, così come a sua volta la quercia è in grado di generare nuove ghiande, in un circolo bellissimo e vitale.
Perché una ghianda non può generare un abete?
Se rivolgessimo questa domanda ad un agrotecnico, saremmo fortunati se questi avrà la buona creanza di non riderci in faccia.
Tutti, infatti, accettano immediatamente l’idea che una ghianda non possa e non potrà mai generare né un melo, né un ciliegio, né un abete.
Eppure le cose non sembrano essere così chiare su un livello più “pedagogico”.
Nel campo della pedagogia
Nel dominio dell’educazione, nel campo della pedagogia, solo i professionisti più illuminati sanno fare un parallelo tra la teoria della ghianda e l’educazione in età infantile o evolutiva.
Quante volte imponiamo un “dover essere” al bambino, alla bambina… che hanno invece il loro stile, le loro predilezioni?
Cosa ci insegna Hillman
Hilmann ci ricorda, in questo senso, che durante l’infanzia tendono ad emergere tratti innati della personalità (è la ghianda che manifesta il suo voler essere quercia e non frassino, non pruno, né melo).
Un buon educatore, un bravo pedagogo dovrà quindi riconoscere nelle impuntature, nel capriccio, nelle ostinazioni del bambino, in quell’orgoglio pronunciato e forte… il profilo dell’uomo e della donna futuri, così che la quercia cresca sana, vigorosa e fruttuosa.